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L'8 aprile 1820 Voutier scopre la Venere di Milo

La storia del suo ritrovamento s'inserisce in quella fase di restaurazione del potere monarchico in Francia, dopo la caduta del regime napoleonico. Il nuovo sovrano Luigi XVIII (fratello minore di Luigi XVI sacrificato sulla ghigliottina dalla Rivoluzione del 1789) era desideroso di ricostruire l'immagine di grandezza del regno, anche attraverso l'acquisizione di preziose opere d'arte del passato.

La missione che nel 1820 (204 anni fa) portò la nave Chevrette a sbarcare sull'isola di Milo (Milos, in greco), nell'arcipelago delle Cicladi, era legata ad un'attività di ricognizione idrografica del Mar Egeo. Qui, nella zona del capoluogo Plaka, l'ufficiale francese Olivier Voutier s'imbattè in un contadino di nome Yorgos Kentrotas, intento a scavare pietre da utilizzare per la sua abitazione. L'area in questione si trovava a ridosso di un antico teatro greco e ciò fece supporre a Voutier che lì sotto potessero trovarsi resti antichi.

Così chiese all'uomo di avvertirlo nel caso fosse emerso qualche pezzo significativo. L'8 aprile la pala di Kentrotas toccò qualcosa di grandi dimensioni e quando l'ufficiale francese se la trovò davanti non credette ai suoi occhi: dal terreno affiorava un busto di donna, privo di entrambe le braccia. L'uomo fu esortato a scavare ancora e lì vicino venne disotterrata l'altra metà della statua, con le gambe coperte da un drappeggio e un basamento.

La notizia venne accolta con entusiasmo dall'ammiraglio ed esploratore Jules Dumont d'Urville, fine umanista, che si disse disponibile ad acquistarla ma si vide sbarrata la strada dal rifiuto del comandante della Chevrette a trasportare la statua, giacché secondo lui rischiava di danneggiarsi per il burrascoso viaggio in mare. Nel frattempo, il contadino greco, che aveva fiutato l'affare, cercò di stringere i tempi e vendere il suo "tesoro" al dragomanno del sultanato di Costantinopoli.

Uno smacco che D'Urville non poteva tollerare; per cui prese carta e penna e scrisse un rapporto sul ritrovamento indirizzato all'ambasciatore di Francia a Costantinopoli. Costui diede l'assenso per acquistare la scultura a qualsiasi prezzo, per la gioia di Kentrotas che accettò la vantaggiosa offerta dei francesi. Per gli stessi, e per D'Urville in particolare, l'acquisizione assumeva un significato speciale, considerando che cinque anni prima la Francia era stata costretta a restituire all'Italia la splendida Venere Medici, trafugata da Napoleone.

Accolto con tutti gli onori alla corte di re Luigi XVIII, il prezioso reperto fu donato dallo stesso sovrano al Museo del Louvre (dov'è tuttora custodito), che lo catalogò come Venere di Milo, dal nome dell'isola dov'era stata rinvenuta. Per la posa ricorda le statue di Prassitele ma l'iscrizione ritrovata sotto il basamento (oggi andato perduto) l'attribuisce allo scultore dell'età ellenista (323 avanti Cristo - 31 avanti Cristo) Alessandro di Antiochia.

Lo stile classico ma rinnovato nelle forme ha messo in crisi gli studiosi, che non sono concordi nell'attribuzione dell'opera. Il soggetto rappresentato è dato per certo che sia Venere, guardando alla precedente Venere di Capua (una copia è esposta al Museo archeologico di Napoli) che presenta la stessa posa delle gambe. Secondo una tesi ritenuta attendibile, è probabile che la statua reggesse nella mano una mela, richiamando il famoso episodio dell'Iliade in cui Paride dona il "pomo d'oro" ad Afrodite (divenuta Venere nella mitologia latina). Il nome stesso dell'isola greca (melos, "mela") sembra confermarla.

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