Stampa questa pagina
Lunedì, 25 Novembre 2013 07:24

#Salute, #Psicologia: misurare le #emozioni col Metodo Davidson

Scritto da 
Vota questo articolo
(0 Voti)

Davidson mentre esegue dei test ad un monaco tibetano

Le emozioni, anche quelle più nascoste, possono essere intuite da segni esterni del corpo ai quali nessuno di noi può sfuggire. C'è molto più che un sorriso o una smorfia di dolore, per esprimere gioia, tristezza o altre emozioni. Richard Davidson, professore di psicologia e psichiatria alla University of Wisconsin-Madison (USA), ne è certo.

Quanti di voi sapevano che le esperienze negative si smaltiscono con estrema lentezza, nei casi peggiori si continua ad “ammiccare” con gli occhi e con piccoli movimenti del capo per anni, segno evidente che qualcosa nel nostro profondo ribolle ancora e che non ne siamo del tutto fuori. Si chiama resilienza e misura la nostra capacità a riprenderci da un trauma in base ai tempi in cui tali segni esterni si manifestano o meno. C’è poi il metro della prospettiva che ci fa capire tramite l’azione di circuiti cerebrali se il periodo ottimista dura a lungo o meno.

Chi ha l’amigdala più sviluppata, esami di laboratorio dimostrano, ha uno speciale intuito sociale per la comprensione delle emozioni altrui, che si concretizza tramite segni esterni e interni ben definiti. Più difficile l'autoconsapevolezza, ovvero analizzare le proprie emozioni per portarle allo scoperto.

Anche dal tipo di attenzione al contesto sociale si può capire che cosa sta provando un soggetto esattamente. Sono alcune di quelle “armi” speciali che usano i cosiddetti “mentalisti”, che aiutano la polizia a cercare di intuire il pensiero di un criminale o di un testimone.


Cosa succede nel nostro cervello quando siamo tristi o euforici, arrabbiati o ottimisti, oppure quando abbiamo a che fare con gli altri? Quali sono le strutture cerebrali alla base della vita emotiva? Sono solo alcune delle domande a cui tenta di rispondere il nuovo libro del noto giornalista del Wall Street Journal Sharon Begley e Richard Davidson, rinomato docente di psicologia e psichiatria alla University of Wisconsin, a Madison.

In particolare Davidson è stato inserito nel 2006 da Time magazine tra le cento persone più influenti nel mondo. Insignito di numerosi premi per la ricerca condotta, fa parte del consiglio d'amministrazione del Mind and Life Institute che ha tra i suoi obiettivi la promozione del dialogo tra gli scienziati occidentali e il Dalai Lama.

Secondo gli autori del libro "La vita emotiva del cervello", appena pubblicato in italiano per i tipi di Ponte delle grazie, la ricerca psicologica e neuroscientifica finora ha mancato il suo obbiettivo concentrandosi solo sul cervello e non sul "cuore". Ma negli anni Settanta alcuni studiosi intrapresero una serie di ricerche pionieristiche che avrebbero portato alla nascita delle cosiddette "neuroscienze affettive".

Oggi Richard Davidson sostiene di essere riuscito a dimostrare l'intuizione che lo aveva folgorato all'inizio degli anni Settanta ad Harvard: ragione e sentimento non sono polarità inconciliabili, e a ciascuna corrispondono zone e funzioni cerebrali specifiche. Su queste basi Davidson ha elaborato la teoria degli stili emozionali, sei dimensioni emotive che descrivono la personalità di ognuno.

Ma c'è di più: poiché le emozioni si fondano su precise basi neurali, è possibile intervenire sui nostri comportamenti, disfunzionali o meno. Le neuroscienze hanno persino individuato nella meditazione uno strumento molto potente per modificare le strutture cerebrali, sfruttandone la neuroplasticità. A garanzia del valore di queste ricerche, l'equipe di "collaboratori" di Davidson annovera niente meno che il Dalai Lama.

Secondo Devidson il cervello non è una scatola impenetrabile e immutabile come si è pensato per secoli: migliorandone il funzionamento, possiamo vivere meglio con noi stessi e con gli altri.

Letto 3477 volte Ultima modifica il Lunedì, 25 Novembre 2013 07:41
Devi effettuare il login per inviare commenti